Mentre nel 1961 si tiene la grande mostra “The art of Assemblage” al Museum of Modern Art di New York, che riconosce premurosamente il percorso che dal collage ha portato al nuovo esito tridimensionale e bricoleur che Rauschenberg sta sviluppando, l’anno seguente l’antropologo Claude Lévi-Strauss pubblica il libro Il pensiero selvaggio, in cui è esposta una teoria del bricolage che ne dà una versione non formalista e al tempo stesso rigorosa e “strutturale”. […] Il pensiero selvaggio parte proprio dall’osservazione che il pensiero dei “selvaggi” è meticoloso e ordinato, benché basato su altri criteri ordinativi e altri parametri rispetto alla scienza moderna. Si tratta di una “scienza del concreto”, basata sulle proprietà sensibili e analogiche, sui caratteri comuni e le relazioni, invece che sull’analisi, le proprietà specifiche e le possibilità combinatorie. Ebbene, prosegue, «sopravvive fra noi una forma di attività che, sul piano tecnico, ci consente di renderci conto abbastanza bene delle caratteristiche, sul piano speculativo, di una scienza che preferiamo chiamare “primaria” anziché primitiva: questa forma è di solito designata col termine bricolage». Il bricoleur è colui che esegue un lavoro con le proprie mani, utilizzando mezzi diversi dal professionista: «Il suo universo strumentale è chiuso e, per lui, la regola del gioco consiste nell’adattarsi all’equipaggiamento di cui dispone, cioè a un insieme via via “finito” di arnesi e di materiali, peraltro eterocliti, dato che le composizioni di questo insieme non è in rapporto col progetto del momento, né d’altronde con nessun progetto particolare, ma è il risultato contingente di tutte le occasioni che si sono presentate nel rinnovare o arricchire lo stock o di conservarlo con i residui di costruzioni o distruzioni antecedenti».
Nell’attività del bricoleur, poi più comunemente assimilata a quella dell’artista, ritroviamo i n realtà tutti i caratteri del “nostro” collezionista. Ogni elemento del suo strumentario – insieme finito ed eteroclito, come ha precisato Lévi-Strauss – non è vincolato a un unico impiego determinato ma rappresenta un insieme di relazioni e di possibilità «al tempo stesso concrete e virtuali». Il bricoleur «interroga tutti quegli oggetti eterocliti che costituiscono il suo tesoro, per comprendere ciò che ognuno di essi potrebbe “significare” […] così che ogni scelta trarrà seco una riorganizzazione completa della struttura che non sarà mai identica a quella vagamente immaginata né ad altra che avrebbe potuto esserle preferita», ogni modificazione che riguarda un elemento interesserà automaticamente tutti gli altri e ogni stadio intermedio di realizzazione divergerà inevitabilmente dall’intenzione iniziale, se mai ce n’è stata una. [p. 49-50]
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Elio Grazioli, La collezione come forma d’arte, Johan & Levi, 2012