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«Sono entusiasta delle straordinarie e talvolta così tempestive ingegnosità umane.

Se vi capita di naufragare e non ci sono più scialuppe, il coperchio di un pianoforte che galleggia vicino a voi può diventare un buon salvagente di fortuna. Ma questo non vuol dire che il miglior modo per progettare un salvagente sia quello di idearlo a forma di coperchio di pianoforte. Penso che siamo inclini ad accettare troppi coperchi di pianoforte – il risultato di scoperte fortuite del passato – come se costituissero l’unico modo per risolvere un certo problema. Il nostro cervello affronta esclusivamente casi particolari. La nostra mente, invece, è in grado di scoprire i princìpi generali validi senza eccezioni in ogni esperienza specifica, i quali, una volta individuati e fatti propri, daranno vantaggi apprezzabili in qualsiasi circostanza.

Poiché la nostra iniziativa spontanea è stata osteggiata, troppo spesso inavvertitamente, nella prima infanzia, di solito non abbiamo il coraggio di riflettere con cognizione di causa sulle nostre potenzialità. Troviamo più facile a livello sociale proseguire con le nostre ristrette, miopi specializzazioni, e lasciare ad altri – principalmente ai politici – il compito di risolvere i dilemmi comuni. Al contrario della spontanea tendenza alla limitazione tipica degli adulti, io farò del mio, spero «infantile», meglio per affrontare il maggior numero di problemi e pensare nel modo più lungimirante di cui sono capace, fermo restando che tutto questo potrebbe non portarci molto avanti nelle previsioni.

Ho studiato all’Accademia navale degli Stati Uniti, dove ho fatto pratica con le efficacissime arti della previsione, come la navigazione astronomica, il pilotaggio, la balistica e la logistica, oltre alla pionieristica e anticipatoria scienza progettuale alla base dell’antica maestria navale e da cui è derivata l’odierna teoria generale dei sistemi. Ricordo che nel 1927 cercai deliberatamente di capire quanto in avanti possiamo spingerci nel compiere previsioni affidabili sulla direzione intrapresa dall’umanità e di verificare, secondo i dati disponibili, come possiamo efficacemente interpretare i dettagli fisici di ciò che l’evoluzione globale potrebbe far presagire. Sono giunto alla conclusione che è possibile effettuare una previsione più o meno ragionevole su un lasso di tempo di circa venticinque anni. Il che sembra essere più o meno una generazione «di strumenti» industriali. In media, tutte le invenzioni paiono consumarsi nell’arco di venticinque anni, dopodiché i metalli vengono riutilizzati in modo nuovo e di solito più funzionale. Comunque, nel 1927 feci delle previsioni, la gran parte delle quali si spingevano solo fino al 1952, il che significava un quarto di secolo più avanti, ma alcune arrivavano fino al 1977, mezzo secolo dopo. Quando, nel 1927, qualcuno aveva occasione di domandarmi delle mie previsioni e io rispondevo che cosa mi sembrasse opportuno fare in vista degli anni cinquanta, sessanta e settanta, di solito mi veniva detto: «Molto divertente, lei è mille anni avanti rispetto al suo tempo». Avendo studiato i piccoli incrementi in cui possiamo pensare il nostro futuro, ero sorpreso della facilità con la quale il resto della società pareva essere in grado di vedere mille anni in avanti, quando io riuscivo a spingermi soltanto a un quarantesimo di quella distanza temporale. In seguito, iniziarono a dirmi che ero cent’anni avanti e ora mi dicono che sono leggermente in ritardo sui tempi. Ma ho imparato qualcosa sulla reazione comune a ciò che non è familiare e anche qualcosa sulla facilità e sulla rapidità con cui la realtà trasformata diviene così «naturale» da apparire ovvia da sempre. Così capii che le ultime reazioni erano state di quel tipo solo perché le evoluzioni che io avevo previsto erano avvenute in tempo.

Comunque, tutta questa esperienza mi ha infuso la fiducia necessaria per parlare di quel che potrebbe succedere nel prossimo quarto di secolo. Innanzitutto, mi piacerebbe esplorare alcuni dati fondamentali con cui ci confrontiamo in questo momento, come il fatto che più della metà dell’umanità viva ancora in una condizione di avvilente povertà,* a cui è condannata in partenza, a meno che non venga cambiata la nostra situazione materiale globale.

Di certo non è una soluzione sfrattare i poveri, rimpiazzando le loro squallide abitazioni con edifici più costosi, che gli originali inquilini non possono permettersi di rioccupare. La nostra società adotta molti palliativi superficiali di questo tipo. E poiché le situazioni negative di ieri vengono così rimosse dal campo visivo rispetto alla loro posizione originaria, molti fingono con se stessi che i problemi siano stati risolti. Io sento che una delle ragioni per cui oggi stiamo lottando in maniera inadeguata, è che valutiamo i nostri costi su basi troppo limitate, e veniamo quindi poi sovrastati da costi inaspettati provocati dalla nostra scarsa visione.

Naturalmente, i nostri fallimenti sono la conseguenza di numerosi fattori, ma forse uno dei più importanti è il fatto che la nostra società agisce in base alla teoria per cui la specializzazione è la chiave del successo, non rendendosi conto che invece preclude la comprensione globale. Ciò significa che i potenzialmente integrabili vantaggi tecno-economici elaborati per la società dalla miriade di specializzazioni non sono integralmente compresi e pertanto non vengono attuati, o – quando succede – vengono applicati in modo negativo, per lo sviluppo di nuove armi, o nell’industria bellica.

Tutte le università sono state progressivamente organizzate per una specializzazione sempre più raffinata. La società presuppone che la specializzazione sia naturale, inevitabile e desiderabile. Eppure, osservando un bambino, notiamo che è interessato a qualunque cosa e spontaneamente apprende, comprende e coordina insieme un inesauribile numero di esperienze. I bambini sono un pubblico entusiasta e universale. Niente pare essere più importante, per la vita umana, quanto il voler capire tutto e connettere ogni cosa.

Una delle fondamentali priorità dell’umanità è quella di capire ed essere capiti. Tutte le altre creature viventi sono progettate per compiti altamente specializzati. In questo, l’essere umano pare unico: un comprensore comprensivo e coordinatore degli affari locali di Universo. Se lo schema generale della natura avesse richiesto la specializzazione all’essere umano, lo avrebbe costituito con un singolo occhio e un microscopio a esso incorporato.

Ciò che la natura voleva dall’essere umano, era che fosse adattabile verso molte, se non verso tutte, le direzioni; per questo ci ha donato una mente, insieme a un cervello che funge da centralina di coordinamento. La mente apprende e comprende i princìpi generali che governano il volo o l’immersione nel mare profondo, quindi gli umani possono indossare le ali o i polmoni acquatici, per poi levarseli quando non vengono utilizzati. L’uccello è grandemente ostacolato dalle sue ali quando tenta di camminare, così come il pesce non può uscire dal mare per addentrarsi sulla terra: perché uccelli e pesci sono esseri specializzati». [pp.27-32]

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Richard Buckminster Fuller, Manuale operativo per Nave Spaziale Terra, Il Saggiatore, 2018