ArteSguardo

Che cosa sia la bellezza? Non so.

Una doverosa premessa: le riflessioni che seguono non vogliono assolutamente essere un compendio filosofico di cosa sia, o sia stata, la bellezza per il genere umano. Non ho la competenza né una formazione filosofica per parlare di un argomento così complesso. È però certamente una gran bella domanda, alla quale, al momento, io non ho saputo trovare una risposta. A cercarla nella storia, una possibile risposta, ci si imbatte fin da subito nel concetto di perfezione, nell’armonia delle forme: l’antica Grecia applicava questo concetto sia all’arte che alla filosofia. Per i greci il kosmos costituisce la manifestazione sensibile del bello ed è proprio grazie al bello che l’uomo è in grado di riconoscere il mondo. Platone sosteneva che il bello nutre l’occhio e la mente di proporzione e armonia, di ordine e misura; un’idea del bello, eterna, perfetta, immortale. Gli artisti, i letterati e i filosofi del Rinascimento riprendono l’idea di Plotino: il bello, in questo caso, coincide con l’intuizione dell’artista: la bellezza è una creazione dell’intelligenza.

––––––––––

«La bellezza è Dio nel mondo, nel cielo, nel mare, nel sole, nella costellazione delle stelle. Se uno ammira questo mondo sensibile, considerandone la grandezza, la bellezza, l’ordine del movimento circolare eterno, gli dei visibili e invisibili che sono in esso, i demoni, gli animali e tutte le piante, risale al suo archetipo e alla realtà più vera e contempla lassù tutte le realtà spirituali che sussistono eternamente presso di lui».

Plotino, Le Enneiadi V, 1, 4 – La bellezza

––––––––––

Che cosa sia la bellezza non so sono parole di Albrecht Durer ed anche il titolo di un piccolo libro del 1991, edito da Leonardo, una discussione sulla “bellezza” tra alcuni artisti e filosofi contemporanei. Le note introduttive di Michele Bonuomo e Eduardo Cicelyn dicono questo della bellezza: «Come improvvisamente accorgersi di stare al mondo, qui, ora e non per sempre. È l’esperienza brutale del divenire, che né il passato né il futuro possono riscattare… Il bello è la dura, solitaria, impossibile ricerca di una ragione comune». 

Immanuel Kant ci dice invece che la bellezza non è una qualità oggettiva delle cose, non esistono oggetti belli di per sé, ma siamo noi che attribuiamo tale caratteristica agli oggetti stessi. Nella Critica del giudizio, Kant analizza l’estetica del sublime, affermando che essa rappresenta la presa di coscienza che l’uomo acquisisce quando si trova a contemplare la grandiosità di certi elementi: riconoscere i limiti della propria razionalità consente di aprirsi a una dimensione sovrasensibile, raggiungibile attraverso le emozioni.

––––––––––

«Sublime è ciò di cui la sola possibilità di esser pensato dimostra la presenza di una facoltà dell’animo nostro che trascende ogni misura sensibile».

Immanuel Kant, Critica del giudizio, 1790

––––––––––

Georg Wilhelm Friedrich Hegel divide il “bello naturale” dal “bello artistico”, affermando che tutto quel che è spirituale è superiore ad ogni prodotto naturale stabilisce che l’essenza della bellezza risiede nell’arte che, a sua volta, è il prodotto dello spirito, è un concetto. Afferrare questo concetto significa avere a che fare con la dimensione sensibile, estetica e il successivo distacco dalla stessa sensibilità, necessario alla sua comprensione profonda. La bellezza di Benedetto Croce, ad esempio, non è un fatto fisico ma è riconducibile a uno stato d’animo libero da ogni interesse pratico o logico. La rete è zeppa di aforismi, citazioni e frasi spicciole, se poi lo chiedete all’intelligenza artificiale quello che vi riassume in poche righe è questo: La bellezza è l’armonia delle forme, l’equilibrio tra l’estetica e l’emozione, capace di ispirare, evocare sentimenti profondi e toccare l’anima.

Lungi da me intrattenervi con una storia della bellezza, è certo però che discutere da secoli su che cosa sia la bellezza è sicuramente uno degli elementi centrali della storia del pensiero occidentale: riconoscere ed identificare cosa sia il bello, però, ci ha portato a soffermarci troppo spesso sulle manifestazioni del bello, facendoci perdere di vista la totalità del concetto di bellezza. Un ragionamento filosofico di questo tipo ha richiesto uno specifico campo di indagine, una disciplina di studio, quella dell’estetica, disciplina autonoma della filosofia fondata solo nel XVIII secolo, che studia la scienza della conoscenza sensibile. L’estetica appartiene a quel campo gnoseologico che si fonda sulla aisthesis (*). L’estetica, almeno per me, è più che una filosofia, è una scienza, quella del sentire, intesa sia come conoscenza sensibile che come facoltà legata alle emozioni. Se l’estetica è, dunque, l’arte e la scienza filosofica del “bel pensare”, la bellezza rappresenta la perfezione della conoscenza sensibile che gli uomini, attraverso la creazione di manufatti artistici, sono in grado di generare.

––––––––––

«Tutte le volte che si riflette sul bello, si è arrestati da un muro. Tutto ciò che è stato scritto al riguardo è miserabilmente ed evidentemente insufficiente […]. Il bello consiste in una disposizione provvidenziale grazie alla quale la verità e la giustizia, non ancora riconosciute, richiamano in silenzio la nostra attenzione. La bellezza è veramente, come dice Platone, una incarnazione di Dio. La bellezza del mondo non è distinta dalla realtà del mondo».

Simone Weil, Quaderni, Volume quarto, a cura di G. Gaeta, Adelphi, Milano 1993 (p. 371)

––––––––––

Certo è che, a prescindere da quello che ci racconta la Storia su questo concetto, dobbiamo fare i conti con il nostro tempo, che è un tempo di incertezze, dove molti pilastri del nostro vivere ormai dati per scontati vacillano e la bellezza è sicuramente uno di questi: il concetto di bellezza va dunque rifondato, a partire dall’esperienza anche di ciò che bellezza non è.

Insomma, dare una risposta a questa domanda, almeno dal punto di vista filosofico ed estetico, non è facile. La parola bellezza la associamo non solo a un’opera d’arte, a una partitura musicale, a un paesaggio ma anche – e nel mio caso, soprattutto alla luce delle riflessioni di questo articolo – al viso di una persona. Cosa – e come – fa si che un volto ci risulti bello? È una questione di canoni e leggi armoniche? O forse di espressioni? Personalmente ho provato a cercare una possibile risposta attraverso un approccio più pragmatico ovvero, cosa succede nel nostro cervello quando abbiamo esperienza di qualcosa che giudichiamo bello. Anche in questo caso è una disciplina di studio che prova a dare delle risposte, la neuroestetica: qualsiasi cosa facciamo – mangiare, leggere, scrivere, innamorarci – dipende dall’organizzazione cerebrale. Nel nostro cervello, infatti, si accende un’area specifica correlata con l’esperienza di qualsiasi tipo di bellezza: Semir Zeki ci spiega che si trova nel campo A1 della corteccia frontale orbitomediale, la stessa che fa anche parte dei centri del piacere e della ricompensa. A questo punto bisogna pure citarlo il nostro Sigmund (Freud) il quale sosteneva che la nostra vita è guidata dalla ricerca del piacere e l’esperienza della bellezza è uno dei modi in cui proviamo a darci una ricompensa. Il campo di ricerca della neuroestetica è però piuttosto ampio perché tratta dei tempi in cui matura il giudizio sulla bellezza, se quest’ultimo avvenga prima o dopo la sua percezione, ma anche della relazione fra bellezza, amore e desiderio, come anche i tipi diversi tipi di esperienza di bellezza. E allora, arriviamo al dunque, al perché ultimamente mi faccio questa domanda: cosa ci spinge ad affermare che un volto è più bello di un altro? Che cosa succede quando osserviamo un viso, che sia bello o brutto? È proprio la neuroestetica che prova a dare una spiegazione scientifica: nella corteccia fusiforme si attivano aree specializzate per la percezione facciale e se osserviamo un bel viso si attiva anche la corteccia orbitofrontale mediale. Ma che cosa è che fa scattare questa “decisione” sulla bellezza del volto? Cosa fa accendere quest’area extra? La risposta neuronale del nostro cervello è un aumento di attività nelle aree visive, quelle deputate alla percezione dei volti e in una parte del cervello emozionale, nota come corteccia mediale orbitofrontale: quanto più forte è l’esperienza estetica della bellezza, tanto più questa zona della corteccia si attiverà. Questo schema relativo a questa parte di corteccia è la registrazione cerebrale della qualità ineffabile e indescrivibile della bellezza: in questo modo la bellezza è quantificabile. E oltre ad essere quantificabile, la bellezza è anche qualcosa di astratto. Quando guardiamo un’immagine avvengono una serie di processi a monte, processi visivi che “accadono” nella corteccia visiva e, quando ascoltiamo la musica, processi sonori che “accadono” nella corteccia uditiva.

Le domande nella domanda però sono tante: se la corteccia mediale orbitofrontale attiva il suo processo di giudizio in base a ciò che è bello, è necessario chiedersi se ciò è forse il punto di arrivo di un processo che si basa su altri processi. E ancora, si attiva perché una cosa è bella o perché altre parti del cervello hanno determinato che è tale? Per cui, proprio come sosteneva il nostro Immanuel (Kant) è forse solo una questione di giudizio? Quando sperimentiamo la bellezza, questo implica un giudizio su quel che sperimentiamo? Il giudizio anticipa o segue l’esperienza,? Oppure le è forse contemporaneo? E ancora, qual è l’importanza di cultura, apprendimento ed esperienza? Le aree che si attivano quando vediamo la persona che amiamo – non c’è dubbio, almeno per me, che ciascuno trovi bella la persona che ama – sono le stesse che si attivano se vediamo una cosa bella, come un’opera d’arte? È certo però che l’attività generale del cervello quando guardiamo la faccia di chi amiamo è differente dall’attività cerebrale di quando guardiamo un quadro che troviamo bello. E allora, come funziona il meccanismo? È questione solo di attività, delle cosiddette aree attive? Di neurotrasmettitori? Di messaggeri chimici? Le domande son davvero tante, la ricerca di possibili risposte è tutt’ora in corso, su fronti di studio molto vari. Una risposta diretta e inequivocabile alla mia domanda iniziale, che cosa sia la bellezza, ancora non esiste e forse non esisterà mai, proprio per l’ineffabilità del termine.

E d’altro canto il detto popolare Non è bello ciò che è bello ma è bello ciò che piace non fa nient’altro che confermare quanto la filosofia nei secoli, e attraverso i suoi illuminati pensatori, ha anticipato: nessuno può dare una definizione di bellezza che sia valida anche per la percezione altrui del bello perché la bellezza è un’esperienza soggettiva.

Sicuramente aveva ragione Fedor Dostoevskij quando affermava che la bellezza è un enigma. E, no, almeno per me, la bellezza non salverà il mondo.

––––––––––

(*) αἴσϑησις – Sostantivo femminile. In greco il termine aisthesis è un concetto e significa senso, facoltà di sentire – sensazione, sentimento – percezione, conoscenza. I suoi suoi correlati, cioè gli aistheta, sono le cose sensibili.