«Tutto avviene alla superficie in un cristallo che si sviluppa soltanto sui bordi, senza dubbio ciò non vale per un organismo; quest’ultimo non cessa di raccogliersi in uno spazio interno, come pure di espandersi nello spazio esterno, di assimilare ed esteriorizzare.
Ma le membrane non sono in esso meno importanti: portano i potenziali e rigenerano le polarità, mettono precisamente in contatto lo spazio interno e lo spazio esterno indipendentemente dalla distanza. L’interno e l’esterno, il profondo e l’alto hanno valore biologico soltanto in virtù di questa superficie topologica di contatto. È dunque anche biologicamente che bisogna comprendere che “il più profondo è la pelle”. La pelle dispone di un’energia potenziale vitale propriamente superficiale. E, così come gli eventi non occupano la superficie ma la frequentano, l’energia superficiale non è localizzata nella superficie, ma legata alla sua formazione e riformazione. […] Diremo dunque che la superficie è il luogo del senso» (1).
In arte, quattro secoli di retorica centrata sull’artista ci hanno convinti che il senso si trova nella profondità, nello spazio interno; la pelle – la superficie della pittura – non è che il sipario che ci introduce nella penombra del vero significato, nello spettacolo di fantasmi e simboli che avviene nel profondo. Ma, spiega Deleuze, gli eventi percorrono la superficie, la superficie è il luogo del senso. La formazione del senso attraverso la procedura ready-made ci parla appunto di questo: non esiste un senso profondo da ricercare immergendosi nella materia, un senso pre-esistente da riportare alla luce, c’è un senso mutevole che scorre sulla superficie e si forma nell’organizzazione – sempre instabile, sempre sfuggente – dei segni e dei corpi (*); nella risonanza delle coppie mutevoli forma-funzione, significato-significante, nome-oggetto.
E, ancora seguendo Deleuze, come negli organismi, in cui le membrane sono essenziali perché mettono in contatto lo spazio interno e lo spazio esterno – superficie topologica di contatto –, così in arte quel trattino tra ready e made, tra forma e funzione, come una membrana coniuga forma e funzione permettendo alla vita della forma di prodursi e di dispiegare il suo senso. Immagini e segni restano compresenti e quello che conta davvero è la risonanza, effetto mutevole e legato alla contingenza; quello che conta non sono i segni in sé ma come questi si dispiegano sulla superfice.
(*) Un aspetto, questo, conosciuto dai dadaisti e praticato da Duchamp in particolare, artista incline al camuffamento, al trasformismo, alla mutazione, al cambio di nome, di genere, di tempo, di ruolo, di pelle. (p. 51/52)
(1) Deleuze, Logica del senso. pp. 96-97
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Daniele Monarca, Teoria e pratica del ready-made, 100 voci sul bell’e pronto, Postmedia Books, 2021