Osservazione n. 1 – Statale 11: una ragnatela di luoghi desolanti, desolati, squallidi e brutti. Ma è davvero, e solo, questo?
Non c’è equivoco più ricorrente e più banale che quello di confondere il paesaggio con l’ambiente: mentre quest’ultimo appartiene all’universo fisico, il paesaggio si inscrive invece nelle produzioni culturali. È un prodotto collettivo, costruito da tutti e da nessuno.
Ma parto dall’inizio.
In questo agosto caldo e afoso, per arrivare a Trento, da Vicenza, con il treno, ho incontrato da vicino il desolante orizzonte visivo della Statale 11, uno dei tanti cuori delle province del Nord Italia, perché, la Statale 11 Padana Superiore, che una volta doveva essere pur un bel girovagare, attraversa praticamente tutto il Nord Italia: parte da Vercelli e attraversa tutta la pianura Padana. Istituita nel 1928 attraversa da ovest, inizia in provincia di Vercelli, a est la parte settentrionale e superiore della Pianura Padana, toccando numerose zone particolarmente produttive del paese e unisce in un’unica via una serie di strade statali e regionali per poi terminare a Venezia.
A ignorare quello che nel corso del precedente secolo, il Ventesimo, è stato costruito, sarebbe anche una bella vista. Se ti concentri sulle colline che la accarezzano e i campi a maggese e i boschetti sparsi e i fossi ti sembra di essere in un dipinto della Scuola Veneta, quel periodo del Rinascimento italiano, parallelo ad altre correnti artistiche ma con una sua indipendenza e unicità, che dipende sicuramente dal florido sviluppo della Serenissima, a quel tempo all’apice della sua fortuna e potenza, che gestiva quei territori, altro termine collegato e, qualche volta, confuso alla parola paesaggio.
Il paesaggio contemporaneo che accompagna questo pezzo di viabilità, però, si concretizza ai nostri occhi sempre più spesso per un’infinita alternanza di fabbriche più o meno identiche, piccole e piccolissime imprese manifatturiere a gestione familiare, villette unifamiliari decorate da colonne doriche e in stile palladiano che magari come vicino di casa hanno un deposito di materiali esausti più o meno nocivi, magazzini di corrieri più o meno movimentati, pompe di benzina più o meno malfamate, mercatoni più o meno terribili che contengono cose più o meno discutibili. Luoghi che al loro interno, nei piazzali come nelle stradine secondarie o negli svincoli, nei grandi parcheggi degli ipermercati – ma, a proposito, quanto mangia la nostra società opulenta e occidentale? – ospitano altri panorami ancora: buche nell’asfalto che ci puoi coltivare il riso, rotatorie fantasma, nani da giardino alti un metro, palme illuminate come alberi di Natale, cartelloni pubblicitari di dimensioni oversize, dancing Anni ’80 e balere oramai azzittiti da Spotify e rave party privati.
A guardare dal finestrino del pullman Gran Turismo, che ha visto giorni migliori, affittato da Trenitalia per il trasporto di noi anime pendolari non può non venirmi in mente il bel testo di Serenella Iovino, Paesaggio civile. Storie di ambiente, cultura e resistenza, un saggio che racconta il paesaggio ecologico, storico e culturale dell’Italia e un viaggio nelle storie ecologiche e tossiche che attraversano in lungo e in largo il Bel Paese. In Paesaggio civile, l’autrice, si interroga sul paesaggio come testo, anche attraverso i testi che lo compongono, un saggio che raccoglie storie e paesaggi che raccontano e invitano a ragionare in termini di resistenza, più che di disastro. E quella dell’Italia dell’ultimo secolo è una storia traumatica, sì, ma in conseguenza di scelte umane, economiche, politiche e culturali. Non da ultimo culturali, perché le vere apocalissi culturali sono proprio le ricostruzioni, le vampirizzazioni, le smemoratezze.
Un bel panorama? Eh no, né bello né panorama perché il panorama non è il paesaggio. Non ci racconta le complessità dei contributi con cui diversi tratti di natura e di azione umana hanno caratterizzato un territorio, quanto piuttosto — in maniera più circoscritta e semplice — un’esperienza estetica immersiva riguardo a un paesaggio. Ma sul panorama e la sua storia vi prometto un futuro approfondimento.
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Osservazione n. 2 – Statale 11: c’è vita!
Ma torniamo alla Statale 11 e alla sua varia umanità, un luogo che è anche una serie di paesaggi, mai immobile, per nulla sfondo, perché è qualcosa che nasce, agisce e cresce con noi: più che a un dipinto o a una fotografia o a un film, il paesaggio somiglia al racconto del nostro abitare. Il paesaggio della Statale 11, con i suoi siti in abbandono, ci è sfuggito di mano e se ne sta andando in giro per conto suo. È diventato un “paesaggio fragile” che si sta lentamente sgretolando sotto i nostri occhi ma anche, letteralmente, sotto di noi. È un paesaggio che si sta trasformando in una serie di luoghi di evidente resilienza fatti di spazi interstiziali al confine tra l’abitato e l’incolto, quello del Terzo Paesaggio di Gilles Clément, luoghi dismessi e residuali che creano incroci di specie e stratificazioni di quella che è la memoria «naturale».
E non a caso cito Gilles Clément perché il destino di ogni vivente – persone, animali, piante, pietre – è la trasformazione: il paesaggio non è mai statico, è sempre mutevole, è sempre in costante trasformazione. Ed è ancora Clément che ci dice che il giardiniere in questo processo di trasformazione ha un ruolo attivo, perché è un trasmettitore di informazioni. Come a dire che siamo tutti giardinieri e, in quanto tali, dobbiamo prenderci cura di quello che trasformiamo. Aggiungo anche, doverosamente, che un lavoro di cura significa ascoltare, capire, interpretare, assecondare i percorsi della natura, a volte anche bizzarri e imprevedibili, mettere ordine ma anche saper scompigliare quello che sembra già assodato. Un lavoro di cura richiede capacità di gestione del tempo, rispetto dei cicli lenti; duttilità nell’accogliere alternanze e pazienza nelle attese.
Pretende immaginazione. Un lavoro che hanno in comune sia il giardiniere che l’artista.
E sono anche quei paesaggi “mostruosi” di cui racconta Annalisa Metta nel suo bel testo Il paesaggio è un mostro. Sono paesaggi imprevedibili, arte e letteratura li raccontano spesso.
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Anche l’intimità che portiamo con noi fa parte del paesaggio, il suo tono è dato dallo spazio che si apre là fuori ad ogni occhiata; ed anche i pensieri sono fenomeni esterni in cui ci si imbatte, come un taglio di luce su un muro, o l’ombra delle nuvole
Gianni Celati
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Gianni Celati, ad esempio, li ha raccontati in Verso la foce, una Pianura Padana sospesa tra solitudine urbana, terreni vaghi e centrali nucleari; mentre Alterazioni Video li indaga attraverso il progetto INCOMPIUTO: La nascita di uno Stile, una ricerca sul campo che racconta l’intensa presenza sul territorio italiano di architetture pubbliche e private, edifici e infrastrutture mai concluse, avanzi di un pranzo mai veramente consumato. Per Alterazioni Video – gruppo di lavoro che in dieci anni ha raccolto migliaia di scatti e di segnalazioni su tutto il territorio nazionale, a partire dalla Sicilia, per poi risalire la penisola, l’Incompiuto è il più importante stile architettonico italiano dal dopoguerra a oggi. Per Alterazioni Video attribuire all’Incompiuto un nuovo significato artistico e architettonico significa dare a quei luoghi una seconda possibilità e leggerli attraverso una prospettiva diversa che possa riconoscerli come risorse del territorio da valorizzare.
O ancora il progetto di ricerca visiva Padania Classic, nato nel 2010. In questo caso è un sito ma soprattutto un libro che raccontano le brutture architettoniche, il fenomeno delle Ecomafie, della cementificazione indiscriminata del territorio del Nord Italia, la Padania, in cui è compresa anche la nostra Statale 11. Padania Classic oltre a essere una ricerca visiva è anche è un’indagine aperta per l’identificazione dei cosiddetti classici padani nel campo dell’estetica, dell’architettura e, soprattutto, dei comportamenti umani. L’atlante dei classici padani è di fatto un atlas, un atlante, edito da Krisis Publishing e raccoglie, in 720 pagine, 18 capitoli, circa mille immagini, illustrazioni, infografiche e testi in italiano e in inglese.
Filippo Minelli – Atlante dei Classici Padani
Insomma, la letteratura e l’arte hanno la funzione di consegnare la nostra idea di paesaggio all’immaginario collettivo perché il paesaggio non è mai un museo di immagini astratte dal tempo, il paesaggio, proprio come noi, vive: invecchia, cambia e muore. Preservarlo significa far sì che continui a essere fatto di luoghi in cui abitare. Tutelare un paesaggio significa, appunto, averne cura, conservandone le testimonianze e il tessuto umano, rendendolo un bene comune fruibile da tutti nel tempo perché noi siamo e facciamo il paesaggio. Significa però anche assecondare la libertà delle infinite metamorfosi della vita che un paesaggio può essere, dopo l’umano.
L’immagine in evidenza è la rotatoria di piazza San Paolo, all’incrocio tra viale Trieste, via Pozzan e Via Nogara, nel tratto di Statale 11 a Montecchio, in provincia di Vicenza.