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Inizia così, Ogni estate, tutti al mare […] il motivetto tratto dal film Le vacanze del signor Rossi di Bruno Bozzetto.

Bruno Bozzetto, Le vacanze del Signor Rossi, 1978

Per me, come per il Signor Rossi, erano anni spensierati. Il 1978 è stato l’anno in cui Bruno Bozzetto ha disegnato e diretto Le vacanze del Signor Rossi, il terzo ed ultimo lungometraggio del signor Rossi. Dalla fine degli anni 70 ad oggi le nostre spiagge, quelle italiane ma non solo, hanno visto molti Signor Rossi, tante vacanze, molti drammi, tanti amori, un numero costante di tormentoni musicali e tonnellate, valanghe, di plastica, quasi una nuova specie invasiva che si accompagna, modifica, interagisce con le altre specie presenti nei nostri mari e sulle nostre spiagge. E trattare questa nuova specie ci obbliga a una serie di domande, tipiche, peraltro, di ricercatrici e ricercatori quando, appunto, studiano una nuova specie: il suo ciclo di vita, la sua famiglia, da dove viene, quali sono le sue caratteristiche, il suo habitat, è autoctona o alloctona? 

La biologa Ana Pego queste domande se le è fatte eccome, tanto da chiamare questa specie Plasticus maritimus iniziando così un progetto di sensibilizzazione per un utilizzo più consapevole della plastica. Plasticus maritimus è, appunto, il nome che ha immaginato per indicare plastica e microplastica presenti negli oceani e nelle zone costiere. È anche un fotoreportage, una poesia scientifica, il taccuino di un’attivista, un carnet de voyage, una guida per esplorazioni e un manuale su questa nuova specie invasiva che non appartiene al mondo animale, ma con la quale dobbiamo farci i famosi conti. Infine, Plasticus maritimus è anche un libro.

È un materiale affascinante, la plastica, ne ho anche già parlato in questo articolo, ad esempio, i suoi tempi di degradazione dipendono da una serie di fattori (tipo, dimensioni dell’oggetto, condizioni ambientali, i posti che incontra nel suo peregrinare e il luogo dove, alla fine, approda). Sicuramente è una specie longeva, molto più di noi: una bottiglia di plastica, proprio quella della macchinetta dei nostri uffici, approssimativamente, impiega 450 anni.

È pleonastico scrivere quanto l’incontro tra plastica e altre specie viventi sia quasi sempre un incontro infelice: gli animali la possono ingerire, possono rimanere imprigionati o intossicati o gravemente feriti.

Tutto il progetto Plasticus maritimus – lo trovate qua – è interessante, nella misura delle sue mostre e dei suoi laboratori, ma il libro di divulgazione scientifica che ne è nato è creativo, poetico e accurato; sono molti i riferimenti bibliografici, le cifre e le sfide sul riciclo della plastica, come molte sono le visualizzazioni di dati e processi, i box informativi ed esplicativi, le linee del tempo, le schede di osservazione e analisi. Soprattutto è un manuale per esploratori e attivisti: come preparare un’uscita sul campo e diventare un beachcomber. A questo punto vi starete chiedendo che cosa sia un beachcomber…

I beachcomber si distinguono dai beachcleaner perché non si limitano a pulire le spiagge ma diventano collezionisti che si interessano anche all’origine e alla storia degli oggetti che incontrano. Ana Pego colleziona questa nuova specie fatta di oggetti multicolore raccolti sulle spiagge del Portogallo; gli oggetti di queste raccolte diventano poi installazioni artistiche, la documentazione fotografica a sua volta diventa testimonianza di un problema che ci appartiene. Il nostro Bruno Munari, ne Il mare come artigiano, scrive: Tu butti qualcosa al mare, e il mare (dopo un tempo imprecisato e imprecisabile) te lo restituisce lavorato, finito, levigato, lucido o opaco secondo il materiale, e anche bagnato perché così i colori sono più vivaci. Munari, questi esemplari elaborati dal mare artigiano, li aspettava sulle spiagge liguri.

Anche il cortometraggio di Paul Bush è un’elegia per una relazione amorosa che è diventata amara, un addio al più bel materiale che abbia reso schiavo il nostro pianeta: Orgiastic Hyper-Plastic, a questo link potete vedere il teaser, è realizzato con rifiuti e frammenti trovati lungo le spiagge e le strade, nelle soffitte e nei mercatini, oltre che attorno alle scuole londinesi.

Insomma, ad avere la Macchina del Tempo di H. G. Wells riusciremmo a immaginare cosa potremmo trovare da qui ad altri mille anni, il tempo di degradazione di un sacchetto di plastica? La nostra specie ci sarà ancora? Saremmo magari diventati tutti mutanti, tipo quelli del Professor X. E che cosa potremmo mai raccontare ai nostri io nel futuro, adesso?

E della longevità delle plastiche e del loro possibile futuro parla anche il progetto Letters to the future, ideato dall’agenzia vietnamita Ki Saigon, un libro, interamente realizzato con sacchetti e fogli di plastica, scatole di polistirolo, e pezzi di pluriball trovati per le strade del Vietnam e trasformati in pagine che ospitano lettere scritte da persone di tutto il mondo ai loro futuri discendenti. Per la materia prima — la plastica — Ki Saigon si è rivolta a coloro che vivono raccogliendo spazzatura e riciclandola, da questi rifiuti hanno ottenuto le pagine, stirandole letteralmente, sulle quali hanno serigrafato i testi. Prodotto grazie al supporto di uno dei clienti di Ki Saigon – 4P, una grande catena di pizzerie molto conosciuta in Vietnam – Letters to the future è un libro d’artista che evidenzia la drammaticità dell’inquinamento da plastiche. Una questione sempre più attuale e critica. E grave, perché adesso, a differenza del 1978, conosciamo molto bene questa nuova specie e non riuscire a gestirne gli effetti è umanamente imbarazzante e stupido: i pesci che mangiano le micro plastiche finiscono anche sulle nostre tavole (non sulla mia, che da qualche anno son diventata vegetariana, ma di questo, forse, un giorno vi dirò di più).

Sono tante le buone pratiche per diminuire lo spreco di plastica nella vita di tutti i giorni ad esempio una sensibilità all’acquisto del cibo come i cibi sfusi e a km zero, la riduzione delle bottiglie di plastica, noi che possiamo permetterci di bere l’acqua del rubinetto, usare prodotti compostabili e prodotti sfusi. Portare in borsa una borsa per la spesa. Cambiare prospettiva. E, certo, anche diventare beachcomber.

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L’immagine in evidenza è presente nella pagina Facebook del progetto Plasticus maritimus.