ArteMatematicaTecnicheTecnologiaJackson Pollock, Alchimia, 1947

Il termine frattale indica un aggettivo e sostantivo maschile [dal francese fractal – termine introdotto nel 1975 dal matematico Benoît B. Mandelbrot (*) e deriva, a sua volta, dal latino fractus, participio passato di frangĕre «spezzare» (v. fratto)].

In matematica, denomina particolari enti geometrici che possono essere caratterizzati da un numero non intero (cioè frazionario: e di qui il nome) di dimensioni, e quindi risultare, per esempio, intermedî tra quelli unidimensionali (linee) e quelli bidimensionali (superfici); sono solitamente definiti per mezzo di procedure ricorsive, e godono di determinate proprietà di scala, per cui rappresentazioni in scale diverse di uno stesso oggetto frattale presentano similitudini strutturali: in altri termini, se si ingrandisce con un opportuno fattore di scala una porzione comunque piccola dell’oggetto, si manifestano caratteristiche strutturali che riproducono quelle dell’oggetto non ingrandito.

Lungi da me avere la pretesa di padroneggiare un argomento così intenso, affascinante, complesso e scientifico come la teoria dei frattali. Non mi interessa costruirli, forse padroneggiare qualche strumento che li costruisca per me, solo per personale fascinazione. In realtà, il modo dei frattali ci riguarda da vicino, noi stessi siamo entità frattali, a partire dai nostri organi fino al nostro stesso modo di pensare. Siamo rizomatici a tutti gli effetti, nel nostro modo di essere, di stare nel mondo ma anche di concepire il mondo. Su queste basi trovo affascinante l’approccio alla teoria dei frattali di Richard Taylor, teoria che gli ha permesso di determinare l’autenticità dei dipinti di Jackson Pollock. Nell’esaminare le opere di Pollock, Taylor utilizza il metodo del box counting, se si sovrappone all’immagine un reticolo di caselle quadrate, talune di esse conterranno un tratto del dipinto, altre no. Eseguendo l’operazione con un passo del reticolo che viene gradualmente diminuito, a partire dalla larghezza del quadro intero per giungere a quella del dettaglio più sottile del disegno, si conta via via un numero sempre maggiore di caselle che contengono parti del dipinto. L’intreccio di linee caotiche, tracciate da Pollock sulla tela, rifletteva la caratteristica fondamentale di un oggetto frattale, la autosomiglianza. Ricordiamolo: in un oggetto frattale, ogni più piccola parte è simile, ma non necessariamente identica, alle forme più grandi della stessa struttura.

Taylor introduce il termine espressionismo frattale, affermando che la tecnica di Pollock riflette in modo diretto il processo generativo delle figurazioni naturali, senza tuttavia rappresentare le cose naturali stesse. Per provare la sua teoria ha inserito una riproduzione della tela nel computer e ne ha fatto un’analisi matematica, seguendo un procedimento simile a quello utilizzato per i frattali: il dripping di Pollock è un insieme frattale di cui è anche possibile calcolarne la dimensione. Le variazioni della dimensione frattale riflettono l’evoluzione delle sue opere: la sua pittura si è fatta sempre più complessa con il passare degli anni. A seguito di questa indagine matematica Taylor ha stabilito che nei lavori dei primi anni Quaranta soltanto il 20% della tela era coperto da linee, mentre una decina di anni dopo la superficie ne era già ricoperta per quasi il 90%.

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(*) Benoît Mandelbrot, ricercatore della IBM, definisce e teorizza il termine nel 1980, studiando il comportamento caotico di alcune successioni di numeri complessi, anche se stava, in realtà, evidenziando i risultati degli studi che Gaston Julia e Pierre Fatou avevano già ottenuto durante la Prima Guerra Mondiale, risultati quasi sconosciuti ai matematici dell’epoca perché ai quei tempi gli oggetti geometrici studiati non potevano essere tracciati: il computer non era ancora stato inventato.

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L’immagine in evidenza di questo articolo è Alchimia di Jackson Pollock