«Baudelaire e i Goncourt non sono certo i primi a sottointendere l’identificazione della donna con la decorazione: il concetto ha radici profonde nella cultura occidentale.
Ne è spia il ricorrere, nella retorica antica, dell’immagine dell’ornamento come trucco o belletto; una metafora che trova riscontro nella stessa etimologia della parola «cosmetica» (kosmos in greco significa sia «ornamento» che «ordine»). Equiparato al cosmetico è anche, nella tradizione classica, il colore, bollato da Platone come falso, disonesto, ingannevole e volgare. La condanna platonica scaturita dalla svalutazione del mondo sensibile rispetto a quello intellegibile e dalla riduzione delle immagini a pura imitazione, è all’origine della contrapposizione fra disegno e colore tramandata della teoria artistica accademica: mentre il primo pone la rappresentazione sotto il segno della ragione teoretica il secondo la sottrae all’orizzonte di questa, consegnandola al dominio dei sensi. Il colore-cosmetico è puro ornamento. Femminile e sensuale, coinvolge emotivamente fuggendo allo scrutinio razionale; per contro il disegno, intellettuale e virile, è garante della forma, definisce e costringe entro i suoi contorni la mutevole sostanza cromatica.» [p 22]
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Giuliana Altea, Il fantasma del decorativo, Il Saggiatore, 2012