Che cosa significhi archiviare, catalogare, classificare e, in fine, collezionare ce lo raccontano molto bene alcune esperienze artistiche contemporanee. Montaggio, dialettica, relazione concorrono a dare forma alle collezioni, agli atlanti, le raccolte, i repertori di cui è ricca l’arte contemporanea, molti artisti sono oggi, a tutti gli effetti, dei collezionisti e la collezione è, come ha scritto, Elio Grazioli, una forma d’arte.
In arte, ripensare le forme di catalogazione usando ogni sorta di linguaggio e media a disposizione, spesso ispirandosi a compendi visivi e musei come il Bilderatlas di Aby Warburg o al museo immaginario di André Malraux, è diventata una pratica vera e propria. Ne sono splendidi esempi l’atlante – Atlas – di Gerhard Richter, composto di migliaia di immagini utilizzate come fonti iconografiche per la pittura, il Museo delle Aquile di Marcel Broodthaers, un vero e proprio strumento di critica istituzionale, lo schedario di Hans Haacke, strumento sia di indagine che di critica sociopolitica.
Tutte pratiche tassonomiche dove il desiderio di ordine, la ricerca identitaria, la messa in discussione della tradizionale organizzazione della conoscenza e, di conseguenza, del potere, la costruzione di veri e propri santuari della banalità, dove alla base vi è quasi sempre il bisogno di restituire una logica più profonda a relitti, scarti e tracce: prelevati, assemblati e reimmessi in un nuovo contesto, si caricano di un nuovo valore; l’archivio diventa un vero e proprio dispositivo critico, in grado di rigenerare l’utilizzo e la diffusione del sapere, di riattivare la memoria e la coscienza politica.
Ed è così che l’archivio, nel corso del tempo, ha assunto rilevanza come opera d’arte, quindi come sistema classificatorio atipico e, per certi versi, impossibile, come ben scrive Cristina Baldacci nel suo saggio Archivi impossibili – Un’ossessione dell’arte contemporanea.
Il costante uso delle risorse di rete, la diffusione dei social network e dei mezzi di registrazione, oltre a renderci tutti potenziali archivisti, ci ha permesso anche di attingere a una serie di risorse classificatorie storicamente molto interessanti e utili: nel nostro caso, una vera gioia per gli occhi di tutti i visual designer e gli artisti. Il secondo archivio che vi segnalo è Maripedia, biblioteca online di Marimekko, dove si possono trovare i primi 365 dei suoi oltre 3.500 pattern: una collezione che va dagli anni Cinquanta a oggi, una vera e propria panoramica sulla storia del design.
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Marimekko, impresa con sede a Helsinki, probabilmente la più importante azienda di moda e design in Finlandia, è stata fondata nel 1951 da Armi Ratia, disegnatrice di tessuti. Due anni prima della fondazione di Marimekko, siamo in un’Europa in cui si raccoglievano ancora le macerie della guerra, il marito di Armi, Viljo Ratia, aveva aperto Printex, una piccola fabbrica di tela cerata che non era riuscita a imporsi sul mercato. Armi, per risolvere i problemi dell’azienda di famiglia, ha l’idea di investire sul design dei tessuti, invitando giovani artisti e designer a proporre fantasie colorate e dal gusto pop. Nel 1951, per attirare nuovi clienti, organizza una sfilata con vestiti disegnati dalla stilista Riitta Immonen e le nuove stampe realizzate per Printex: l’evento riscuote un meritato successo e cinque giorni dopo, il 25 maggio, viene fondata Marimekko. In finlandese, il nome significa l’abito di Mary, essendo Maria il secondo nome di Armi e Mari il suo anagramma (e anche perché la definizione abito di Mary sta un po’ a significare anche un vestito adatto a tutte le donne).
Da qui l’idea di proporre vestiti per la vita quotidiana dallo stile contemporaneo adatti, appunto, a tutte le donne. A Marimekko vengono assunti molti designer che avevano già lavorato per i Ratia, tra cui quella che sarebbe diventata la più influente e riconoscibile: Maija Isola, che per Printex aveva disegnato la fantasia Amfora e che, soprattutto, nel 1964 creò Unikko, la famosa stampa con i papaveri rossi stilizzati (un po’ una simpatica beffa proprio ad Armi Ratia, che aveva affermato quanto Marimekko non sarebbe mai diventata un’azienda proprio di stampe floreali).
L’altro prodotto di grande successo di Marimekko è la camicia Jokapoika, unisex e a strisce bianche e nere, inventata dalla stilista Vuokko Nurmesniemi. L’impatto di Nurmesniemi sulla moda finlandese è stato notevole, grazie agli abiti dalle linee morbide che mettevano al primo posto la praticità e la libertà di movimento. La cura per il design di Marimekko si riflette anche nella progettazione del logo, creato nel 1954 con i caratteri della Olivetti.
Importante riconoscimento internazionale è merito, nel 1957, di Timo Sarpaneva, designer e scultore finlandese dell’epoca, che propone di organizzare una sfilata di moda alla Triennale di Milano (anche se la sfilata fu poi cancellata all’ultimo momento). Giorgio Armani, che all’epoca curava le vetrine della Rinascente di Milano, invita però Marimekko a esporre i suoi abiti nel reparto di abbigliamento dei grandi magazzini. La fortuna e la visibilità di Marimekko a livello internazionale è però dovuta a Jacqueline Kennedy che nel 1959 acquista sette vestiti dell’azienda per la campagna elettorale del futuro presidente; l’anno successivo ne indossa uno sulla copertina della rivista Sports Illustrated, cosa che permette una notevole visibilità, soprattutto negli Stati Uniti, a Marimekko.
Alla fine degli anni Sessanta la fortuna dell’azienda entra in crisi per ingenti debiti e troppo personale. Risanata, nel 1974 viene quotata in borsa, le vendite risalgono fino alla fine del decennio e l’azienda inizia a espandersi all’estero, soprattutto in Giappone e, ancora più, negli Stati Uniti. Il 3 ottobre del 1979 Armi Ratia muore e inizia quella che forse è la peggior crisi dell’azienda, durata per tutti gli anni Ottanta. Nel 1985 i suoi eredi la cedono al gruppo finlandese Amer, che la rivende nel 1991 a Kirsti Paakkanen. Quest’ultima, nel momento in cui scrivo questo articolo ha 93 primavere al suo attivo, forte anche della sua esperienza nel campo pubblicitario, rimette in piedi l’azienda puntando nuovamente sul design.
Kirsti assume nuove stiliste, sia affermate che emergenti, e inaugura una linea interamente dedicata agli abiti per l’ufficio. In pochi anni Marimekko si riprende e riacquista popolarità: la fantasia Unikko torna di moda – ora viene stampata su tovagliette, tazze, borse, asciugamani. Alla fine degli anni novanta Marimekko diventa pop e rientra nell’immaginario internazionale quando Carrie Bradshaw, la protagonista di Sex and the City, indossa un bikini e poi un abito Marimekko nella seconda stagione della serie tv.
Nuovi oggetti di design – come le porcellane Oiva disegnate da Sami Ruotsalainen nel 2009 – sono diventati successi commerciali; le tecniche di stampa sono state modernizzate con l’acquisto di nuovi macchinari: i suoi prodotti sono venduti in 40 paesi, ha al suo attivo circa 150 negozi monomarca – in Europa, Nord America e in Asia – e collabora con molti marchi famosi.
Una delle note distintive di Marimekko è anche essere un’azienda gestita e portata al successo da donne: dalla fondatrice alle sue designer più importanti, Maija Isola e Vuokko Nurmesniemi, alla sua presidente, Tiina Alahuhta-Kasko. Nel 2015 erano donne il 94 per cento dei dipendenti, molte in posizioni di rilievo, assunte perché qualificate e non certo per questioni di quote rosa.
La cura per le stampe – negli archivi ne sono conservate circa 3.500 – è fondamentale: come spiega la presidente Alahuhta-Kasko, «l’estetica finlandese è una combinazione interessante tra l’influenza occidentale di Svezia e Danimarca – fatta di elementi grafici, semplicità e modernismo – e quella orientale, ornamentale e ricca. A Marimekko la chiamiamo una felice contraddizione. Ad Armi non piacevano le stampe dolci e delicate e il modo di vestire restrittivo dell’epoca».
Nel 2021 l’azienda ha compiuto 70 anni e si è regalata una serie di iniziative: un libro — Marimekko: The Art of Printmaking, il lancio di diverse collezioni nate dalla collaborazione con designer come Wataru Tominaga (Giappone), Sasu Kauppi (Finlandia) e Antti Kekki & Matts Bjolin e, appunto, la creazione di Maripedia, l’enciclopedia online dell’universo Marimekko.