È la serie di lavori di Belkis Ayón che ti accoglie all’ingresso delle Corderie dell’Arsenale alla 59esima Biennale di Venezia, Il latte dei sogni.
L’artista cubana utilizza codici, simboli e racconti degli Abakuá – una confraternita segreta afrocubana, il cui mito di fondazione si basa sull’atto di tradimento commesso da una donna – per comporre scenografiche opere di grande formato raffiguranti una moltitudine di personaggi e un complesso universo visivo e simbolico fatto di elementi iconografici appartenenti alla religione cattolica, alla fantascienza e alle tradizioni creole. Mescolando influssi provenienti dall’Africa, dall’America e dai Caraibi ha reinventato nei suoi lavori una mitologia evanescente e criptica.
Fortemente influenzata dal socialismo cubano, Belkis Ayón si definiva atea, anche se nelle sue opere sono rappresentati rituali ancestrali e cerimonie tradizionali; i suoi collagraph di grande formato affrontano questioni come censura, violenza, intolleranza, esclusione, disuguaglianze, meccanismi di controllo e strutture di potere e raccontano storie di valore universale e personaggi epici, descrivono scene apocalittiche che narrano un’epopea umana in cui prevalgono il tradimento e il sacrificio, la disobbedienza e la reincarnazione dello spirito.
Il suo lavoro è prodotto utilizzando la collografia (*), una tecnica di stampa in cui la matrice è realizzata sovrapponendo e incollando materiali eterogenei, in modo da ottenere una vasta gamma di tonalità, consistenza e forme.
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(*) La matrice della tecnica è costituita da un qualunque substrato rigido e sottile, dove vengono applicati materiali eterogenei come carborundum, stucco, sabbia, prodotti tessili, fibre, carta tagliata, elementi vegetali ecc. Diversi effetti tonali e risultati sorprendenti si possono ottenere in fase di stampa a causa della differente inchiostrazione che deriva dalla superficie altamente strutturata delle matrici. Il cartone rigido – materiale economico e facile da reperire – lavorato con sostanze additive e/o incidendo lo stesso con punte, sgorbie, etc. può servire da eccellente supporto.
Il termine collagraph o collography è del 1955, è Glen Alps che sperimenta un nuovo procedimento per la preparazione di una matrice in rilievo, stampata con torchio calcografico che unisce in una stessa matrice metodi tradizionali di inchiostrazione, validi sia per l’intaglio che per il rilievo, con la possibilità di combinarli insieme con la tecnica del roll up usando inchiostri di diversa viscosità. Non richiede l’utilizzo di acidi per cui è meno dannosa per l’ambiente.
La matrice si inchiostra come nella tecnica calcografica tradizionale; l’inchiostro usato, a base grassa, viene distribuito sulla superficie della matrice e poi pulito con la tarlatana o con del cotone morbido o un velo di carta assorbente per non alterare le texture dei materiali incollati: a seconda della tipologia dei materiali si avranno zone più o meno inchiostrate che influenzano la quantità di pigmento trattenuto sulla lastra e, di conseguenza, una serie interessante di tonalità, con vari gradi di effetti pittorici, nella stampa finale.
Per la stampa è preferibile utilizzare carta da calcografia, quindi una carta spessa, assorbente, che viene preventivamente umidificata per essere ammorbidita in modo da aderire al meglio a tutte le asperità della superficie di stampa. Ed è possibile stampare a più colori. Particolarmente indicata è l’inchiostrazione à la poupée, tecnica di stesura dell’inchiostro che consiste nel distribuire più colori sfumati su varie zone della stessa matrice, il termine deriva dalla forma del tampone usato per inchiostrare la matrice, in voga tra il XVII e il IXX secolo. Ogni stampa è praticamente un pezzo unico, non essendo possibile riprodurre un’altra stampa perfettamente identica.